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Le radici, le persone e lo spirito dei distillati

Produzione

Non ho l'eta' (?)

Terzo spunto di B’Laddie che cade a fagiuolo visto che è classica la convinzione che un whisky “molto vecchio” sia meglio di uno diciamo di 8/12 anni o in generale di quale sia l’età migliore.

Non v’e’ dubbio e non vorremmo apparire banali ma la prima cosa è che il distillato che mettete nella botte il primo giorno deve essere di qualità. Ingredienti, fermentazione, distillazione devono essere di primissima qualità senza contare poi la qualità del cask (di cui abbiamo recentemente dissertato).
La botte deve essere ovviamente di ottimo legno, prodotta da un ottimo bottaio e che non sia troppo “spremuta” dagli utilizzi.
Distillati maturati in vecchie, stanche e usurate botti di quercia subiscono gli stessi danni dei vini tappati con turaccioli di pessima qualità.
Nel passato il whisky veniva bevuto tendenzialmente più giovane. Nel 1855, come testimonia George Sainsbury in “Notes on a Cellar-Book” (1920), il whisky non riposava per più di quindici anni in quanto diventava “slimy” (viscido).

L’attuale limite di “minimo tre anni” in botte deriva dalla legge denominata “The Immature Spirits (Restriction) Act” del 1915 promulgata in tempo di guerra per evitare che i lavoratori occupati nell’economia di guerra consumassero whisky di pessima qualità e vedessero la propria produttività e salute compromessa. La storia ci dice che i distillatori con Patent still spingevano per la limitazione a due anni mentre quelli con Pot still accettarono tre anni.

Gli invecchiamenti di 20, 25 o 30 anni erano più il risultato del caso e la poca capacità di controllo del magazzino che una vera e propria scelta.