[Storia e Geografia][2] Le microdistillerie: il fenomeno americano

Oramai ci siamo affezionati al fenomeno delle microdistillerie e dopo aver parlato dei giganti, ritorniamo sull’argomento. L’associazione  lanciata da Dominic Roskrow poche settimane fa, ha ora un sito web e negli Stati Uniti le craft distilleries stanno vivendo un momento d’oro seguendo di pari passo (vedrete poi che è provato dai numeri) quello dei microbirrifici tant’e’ che in alcuni casi le ne sono diretta emanazione (circa un 8%). Proprio di esplosione si tratta, siamo passati dalle 24 nel 2000, 52 nel 2005 fino alle 234 di fine 2011 con altre che hanno aperto in questo anno. Al momento non esiste un limite legale per separare le industriali dalle craft (invece esiste per le microbreweries) se non in alcuni stati, ma qualcuno indica in 100.000 galloni anno di alcool un limite ragionevole e siamo abbastanza in linea pensando ad alcune piccole distillerie in Scozia che producono meno di mezzo milione di litri (sono rimaste pochine a dire il vero).

La componente geografica segue quella che negli Stati Uniti è stata chiamata Food Revolution, che ebbe inizio negli anni ’70 nel nord della California e che portò anche alla nascita dei microbirrifici, tra cui possiamo citare Anchor come musa ispiratrice già a metà degli anni 60 e  la New Albion Brewery a Sonoma, California, come primo germe del movimento nato nel 1976. La California appunto, con 29 craft, capitana questa rivoluzione dell’alambicco, al secondo e terzo posto altri due stati West Coast, Oregon (20) e Washington (17). Nel 2000 solo 4 stati avevano una micro, ora sono 45.

Queste distillerie producono una grande quantità di diversi “spirits”:  Vodka, Gin, Whiskey, Rum e altre acqueviti come il brandy. Il 46% delle distillerie produce una singola tipologia di distillato, un 40% 2 o 3 categorie e il 14% sopra 3 anche se la tendenza per i nuovi è di specializzarsi su un una tipologia.  La parte del leone (circa 50% delle distillerie) la fa la Vodka, facile da distillare e senza bisogno di maturazione. Segue il Gin per lo stesso discorso (circa 30%) e il Rum (circa 25%). Il whiskey al momento non è ai primi posti ma la tendenza dei nuovi (oltre 50%) è di dedicarsi a questo distillato.

Le distillerie sono per circa 8% collegate a un microbirrificio, per circa il 20% a delle aziende vinicole mentre  il restante (oltre 70%) sono aziende di nuova costituzione. Le distillerie nuove censite nel 2011 sono per oltre 80% nuove aziende e si è assottigliato molto l’apporto delle aziende vinicole.

Per capire il fenomeno, che non viene dal nulla, facciamo un salto indietro nella storia.

Prima dell’adozione del Coffrey still (a colonna per la distillazione continua) si stima ci fossero qualche decina di migliaia di distillerie legali, nell’ultimo ventennio del’800 si sono toccate punte di 8.000 distillerie legali. Con l’avvento delle vie di comunicazione, industrializzazione e produzione di massa il numero delle distillerie crollò a qualche decina ben prima del proibizionismo, per rimanere bassissimo per tutto il 20esimo secolo. Delle distillerie legali di fine ‘800 la maggior parte distillava fermentati di frutta.

Se invece passiamo alla distillazione clandestina, detta anche moonshine in quanto romanticamente fatta alla sole luce del satellite lunare, i numeri sono altrettanto importanti e ovviamente molto significativi in epoca proibizionista. Si parte dai 2/4000 alambicchi sequestrati prima del proibizionismo, fino al picco di 16.000 durante la fase il periodo di messa in mora, con qualche risalita successiva e poi il crollo da metà anni 60 fino al numero desolante di 2 sequestrati nel 1995. Ovviamente in questa tendenza ci sono fenomeni sociali e anagrafici (i vecchi distillatori di frodo che pian piano passano a miglior vita senza venire sostituiti) e probabilmente anche i “federali” non sono molto interessati a stroncare un fenomeno non socialmente pericoloso.

Quindi ai primi anni ’80 quando parte il fenomeno dei “craft”, come li chiameremo ora, c’erano meno di 100 distillerie legali (grandi) e altrettanti alambicchi sequestrati. Secondo alcuni analisti, che stanno prendendo come modelli di riferimento i microbirrifici e le aziende vitivinicole e sovrapponendo i grafici di crescita che trovato sotto, c’e’ una evidente analogia, le craft distilleries saranno oltre 1.000 nei prossimi 10 anni. Ma sappiamo che i modelli sono tali anche perché spesso il mondo cambia, ma la cosa non pare molto campata in aria.

E la legislazione? Al momento il governo federale non distingue le distillerie in fasce anche se alcuni stati come la California o Washington hanno approvato leggi meno restrittive. Prima del 2003, ad esempio, nello stato di New York esisteva solo una categoria A di licenza che pagava 50.800 dollari di tasse all’anno. Adesso c’e’ una A-1 per la produzione fino a a 35,000 galloni per soli 1,450 dollari. Capite che per una start-up fa una certa differenza. Dove si trovano questi prodotti? A parte l’opzione di andare direttamente sul posto, qualcosa arriva, ad esempio, da Velier, da cui potete trovare Hudson e Clear Creek/McCarthy’s (Oregon) di cui ricordo un ottimo 3 anni provato 2 anni fa al Milano Whisky Festival.

In Italia? Il fenomeno “micro” è molto limitato alle acqueviti e non abbiamo dati fruibili e credeteci ci abbiamo provato a cercarli, unica traccia l’elenco geografico delle distillerie di grappa. La nostra legislazione (Testo unico del 26 ottobre 1995 n. 504) è legata al nostro distillato nazionale, la grappa che, essendo un distillato di vinacce, viene prodotta in pochi giorni dell’anno dopo la vendemmia. Quindi chi ha qualche bidone di vinacce può usufruire di un regime forfettario utilizzando un alambicco a fuoco diretto di massimo 200 litri per un massimo di 300 litri di alcool anidro (che vi può portare al massimo un migliaio di bottiglie). C’e’ una deroga in Val D’Aosta per la distillazione casalinga ma altrimenti si ricade nella distillazione “industriale”. Probabilmente il freno è più imputabile a questioni burocratiche direttamente legate al regime fiscale (contatori, sigilli, registri, ecc), provate a chiedere a un microbirrificio quando ha dovuto aprire. Però speriamo che anche qua ci sia una stessa tendenza come successo 20 anni dopo gli americani per i microbirrifici. Un raggio di sole dalla Val Venosta sta arrivando.

Fonti: American Distilling Insitute, Brewers Association.

Un pensiero su “[Storia e Geografia][2] Le microdistillerie: il fenomeno americano

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.